Max Gazzè - sempre oscillante tra melodie semplici e accattivanti e sonorità moderne e originali - si è caratterizzato fin dagli inizi della sua carriera per la capacità di mettere il testo al centro delle canzoni. Da Cara Valentina a La favola di Adamo ed Eva, da Il timido ubriaco a Eclissi di periferia, sul filo di una raffinata leggerezza, ha saputo condire la musica con forti dosi di poetica ironia. Anche grazie alla ''complicità'' del fratello Francesco, poeta e scrittore. E' così che le canzoni di Gazzè assumono quel gusto del tutto particolare, che il pubblico apprezza moltissimo. Ed è forse così - tra le preferenze dei "nuovi autori" italiani più attenti al contenuto della composizione/comunicazione - che si manifesta una sorta di "nuovo orientamento". Si privilegia una ricerca linguistica e lessicale in grado di "scardinare" non solo lo "schema tradizionale istituito per la canzone" di cui parla Gazzè ma anche le tendenze più effimere e ammiccanti di certa produzione di mercato. Questo, in linea con una "scuola" italiana che ha fatto della stessa ricerca - oltre che linguistica e lessicale, ritmica e musicale - qualcosa di molto vicino alla ricerca poetica, con risultati talvolta di vera eccellenza, ma anche in piena sintonia con il presente e i suoi linguaggi.
(Dal testo di Costanza COnfessore) "Tra gli autori delle ultime generazioni, Max Gazzè merita certo un posto speciale.
Canzoni d'amore, ballate di protesta (seppure distanti dalla canzone politica del passato), testi apparentemente più leggeri, in cui prevale su tutto la musica (come, appunto, Una musica può fare), si alternano con vivacità nei vari album, complicando il lavoro di chi vorrebbe (...) individuare qualche linea sottile, un filo rosso, ancorché tenue, che leghi tra loro i testi del cantautore romano. A ben guardare, l'intera produzione di Gazzè acquista una sua solida specifica identità non tanto sul piano dei contenuti (... eterogenei tra loro) ma soprattutto nelle forme e nelle strutture: la vera cifra stilistica di questo autore risiede nel suo particolarissimo modo di rappresentare, in forme eccentriche, temi e parole dei nostri anni. Se da un lato Gazzè professa il suo atto di fede nei confronti del poeta più amato, Mallarmé, dall'altro sembra scardinare fin dalle fondamenta il magistero del poeta parigino. (...) Mallarmé teorizza una "poesia pura", fondata su una considerazione quasi materiale della parola (...) e definisce con nettezza la propria riluttanza ad adoperare il linguaggio della comunicazione quotidiana: il lessico deve essere peregrino e oscuro e deve evocare antiche risonanze. Diversamente, nei testi di Max Gazzè (che in molti casi rappresentano la messa in musica di liriche preesitenti, scritte dal fratello Francesco), il repertorio lessicale sembra volutamente attinto alla quotidianità, sebbene spesso rielaborata energicamente in senso figurato e immaginifico".
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