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il libro / poesia  
CORRENTE, di Sara Davidovics

CORRENTE
poesie di Sara Davidovics

ZONA 2006
pp.60 - EURO 10
ISBN 88 89702 40 0

 
L’Esterno. Il Calco. In questa salinità pellicolare – sassosa scabra volta al suo schiudersi d’uovo, – in questa carne minerale – atomizzata dalla sua permanente alterazione, – la lingua si sgancia, come, dal suo segnare: ogni unità (già) significante, ritorna tattilmente oggetto (e sua sostanza traumatica). Eppure, giusto mentre che si consolida, disturbante, il reticolato delle immagini, è lì proprio che si eclissa ogni spazio della figuralità. (Dall’introduzione di Tommaso Ottonieri)

Intervista a Sara Davidovics

Qual è il tuo rapporto con la poesia e la parola scritta?
Beh! Non riesco propriamente a intenderlo come rapporto. La scrittura, in particolare la poesia, nel momento in cui è tale - e dunque in pagina - è già qualcosa a me distante. Quel che mi appartiene non posso certo chiamarlo scrittura o poesia (piuttosto “immaginazione”). Ecco, quando l'immaginazione si trasforma in parola (diciamo pure in poesia) non mi appartiene più, è qualcos'altro. Interviene una forma di estraneità.

Quali sono gli autori o gli stili ai quali ti riferisci, nello scrivere?
Direi parte della generazione - femminile - a me immediatamente precedente. Nomi quali Biagini, Fusco, Marmo, Pugno, per farne alcuni. Discorsi sugli stili credo non se ne possa più fare; fortunatamente siamo riusciti a superare, o meglio a smaltire, il peso delle categorizzazioni. È pur vero che devo riconoscere una sorta di filiazione indiretta della mia poetica da quelle cosiddette esperienze “citazionali” (mi riferisco al Gruppo K.B.) anche se sotto tutt'altra forma. La stessa stagione della neo-avanguardia italiana (Gruppo 63) mi ha fornito spunti, sollecitazioni, come dire, l'atteggiamento nei confronti della parola, potrei dire più chiaramente, l'esercizio del distacco (tra soggetto e scrittura). Ma credo che buona parte del mio lavoro abbia risentito non tanto della poesia (e più in generale della letteratura) quanto dell'arte. Quella meravigliosa esperienza degli anni '70, Body Art, Performance ma anche la più recente destrutturazione e smaterializzazione fino all'assemblage (di nuove strutture dopo la frattura) è quanto ha fornito nuovi codici anche al linguaggio. Adoro montare, smontare e riassemblare i pezzi (di recente M. Manganelli ha parlato del mio lavoro come quello di un lego riferendosi a un nucleo di testi che s'intola Meccano ). È questo trattare la parola come una forma plastica, non solo la parola aderisce “come un gel” (sempre Manganelli) alle cose ma diventa parte di esse. La mia parola è un oggetto: occupa e produce spazio.

Il rapporto con te stessa e con il “femminile” come entra nella tua poesia?
Quest' “io” (che poi è il “mio”) e dunque già “naturalmente” femminile non trova precisamente un posto nella (mia) poesia. Diciamo piuttosto che questo soggetto viene attraversato, in qualche modo la scrittura mi oltrepassa, è fuori da me, sempre un pezzetto più in là. E' qualcos'altro.

Che importanza ha il corpo all'interno della tua poesia?
Ecco, il corpo è davvero una questione centrale del mio lavoro. Ma anche questa volta non è il “mio corpo”, non è la “mia fisicità” quella che “racconto”. E' il “corpo” o la “materia” del linguaggio che s'installa (o che installo) con una presenza fisica (tattile?). E' questa natura d'oggetto della mia poesia che (credo) inauguri il complesso straniante, visionario, dei miei testi.

Secondo te, esiste o dovrebbe esistere una poesia “al femminile”?
Se scritta da una donna sarà, fuor d'ogni dubbio, poesia “del femminile”; resta poi da verificare quanto “del femminile” possa, a rigor di termini, chiamarsi poesia (ma la cosa qui non ci riguarda!). Dunque, sì, esiste certamente una poesia “del femminile” - e ci tengo a sottolineare questo ”del” femminile - per il fatto che altrimenti (detto) potrebbe legittimare qualsivoglia scrittura recante tratti “al femminile”. Femminile non è dunque una declinazione possibile (e quindi ascrivibile indifferentemente a chiunque) bensì qualità intrinseca del raccontarsi delle donne. Non sto qui a fare un discorso di “genere” ma semplicemente a constatare un fatto, direi, imprescindibile.

La tua poesia intende svolgere anche un ruolo sociale, di rapporto con gli altri, con il tessuto culturale, con il mondo?
Se prendiamo per buono il detto “l'individuale è politico” allora il discorso sembra tenere ma peccherebbe ancora d'astrazione. La poesia più che intendere può “tendere a” e, proseguendo con un gioco di parole, direi anche “attendere”. Sicuramente l'alterità nel senso più lato ha un ruolo fondamentale nella poesia oggi; ma da qui a parlare di sociale ce ne passa (e parecchio!). Non voglio proporre la solita solfa della “poesia che poco legge e poco vende” perché questa, insieme a tante altre cose, è la cartina di tornasole di un sistema (non solo editoriale) e insieme una questione di pubblico (di utenza) e viceversa. Qui calza bene il quesito dell'uovo o la gallina; i libri fanno i lettori o i lettori fanno i libri? Ma è una questione non facilmente liquidabile. Piuttosto è un problema profondamente culturale (e qui mi fermo).

Pensi che la tua poesia possa essere fruita anche in modo diverso dalla pagina scritta, cioè attraverso la lettura ad alta voce, la performance o l'interazione con altre discipline artistiche? Quali sono le tue esperienze al riguardo?
Sarei tentata di dire che non è solo possibilità ma necessità (ecco l'ho detto!). So che non tutti si troveranno d'accordo ma io credo sia essenziale che la poesia si muova “oltre la pagina” senza per questo diventare “pre-testo”. Il Coup de dés mallarmiano ne è un formidabile, seppur ancora testuale, esempio e a riprova ne ho ripreso/citato il titolo (in italiano) in una mia recente performance ( Colpo di dadi , 2005). “Azione oltre la pagina” è la performance (che è già interazione con le discipline dell'arte, del teatro) ma anche l'esecuzione vocale è un'azione e al proposito c'è quel bel libro di G. Fontana da poco edito (“La voce in movimento”, con tanto di CD). Il video, la collaborazione di poeti, musicisti, videoartisti e poi l'esibizione (che rispolvera quella sana competitività scenica) degli Slam Poetry. Voce, suono, azione, se ben fatto, tutto questo è quanto di più sano possiamo aspettarci dalla poesia. Risulterebbe retorico parlare ancora della labilità dei confini (dell'arte e della poesia) e di quanto l'una confluisca nell'altra. L'opera-Poesia (così come l'ha coniata Nanni Balestrini) non solo è in auge ma oltretutto sta correggendo la propria rotta, ultimamente un po' troppo “pluralistica”. Come si dice, “il troppo stroppia”. Personalmente ho utilizzato e utilizzo parecchio la multi-medialità ma senza esagerare con il carico! Se eseguo una performance vocale preferisco mantenere il video in muto (Divisibile , 2006) o altrimenti lascio scorrere le immagini sottraendo la mia presenza (Etilica , 2006), altrimenti uso esclusivamente il medium sonoro-vocale registrato (Linoleum , 2006). Mi interessa questa intermittenza, mi piace poter sottrarre sempre qualcosa. Recentemente con Lorenzo Durante ho costituito DUALE (ensemble di lettura), si lavora solo con l'emissione vocale (esecuzione in voce sola. E i conti tornano!).
 
 
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l'autrice

Sara Davidovics
(Roma, 1981)

Poetessa e performer. Suoi testi poetici e critici sono apparsi in Poesia 2005, Annuario antologico (Giorgio Manacorda, ed. Castelvecchi) e Poeti e Poesia (Elio Pecora, ed. Pagine). Ha partecipato a reading e trasmissioni su canali televisivi e radiofonici. Tra i lavori di performance recentemente presentati: Colpo di dadi e Istantanea (indagine sul Corpo Nomade) e Charlotte  
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