Arsenale è un tentativo di ridisegnare una cartografia
fra la nebbia, di riscattare corpi, visioni e nomi in forma
di parole e versi, ricavare luce da sotto le apparenze
a partire dai resti e dalla lingua. La raccolta ha vinto
la sezione inediti del premio “Popoli in cammino” 2008.
Arsenale è una raccolta di 51 poesie scritte nell'arco di diversi anni, una selezione di componimenti anche distanti fra di loro, che tenta di dare forma a uno scavo esperienziale e linguistico, attraverso una lingua frastagliata fra la sua origine e il suo soggettivo divenire. Lo sguardo attraversato da voci del passato e del presente tenta di rinforzare un dialogo aprendo delle domande, di ricavare luce dal volto di quell'ultimo fratello, prima di erigere qualsiasi nome a epitaffio. Un tentativo, appunto traballante, di ridisegnare una cartografia fra le nebbie, di riscattare corpi, visioni e nomi in forma di parole e versi, con un gesto freddo e distante a volte, a volte circolare o maternale. La luce talvolta è cieca e le apparizioni oscure, ma si cerca uno spazio comune, un altrove rimarginato, che è qui.
Dall'introduzione di Tommaso Ottonieri:
Liquido arsenale irto d’un intricarsi una densità di sensi – acuiti ad attingere un apice, un diapason, sempre spostato oltre – e immagini che a spirale tornano e tornano alla centralità del Senso, riesplodente polveriera di voci avviluppate e parole vellutate d’acciaio, di pieghe e piaghe che fendono il tuttopieno del dire – carnoso e scarnificante stridore a trapassare la piena stessa travolgente del linguaggio, – è la pronunzia di questa parola, che si piega su di una inesauribile tensione frontale e vocativa. Secerne fluidi, onda cicatriziale, a suturare o soltanto a lenire, forse, i ferimenti infiniti gli strappi i distacchi il vuoto, (“morbido scivolare fra le lamette”… “cullare aspro del passaggio dalla frontiera alla lama”), che l’hanno generata. E adesso la curano, e la scandiscono, anche; la traducono in flusso, narrazione inarrestabilmente a ondate, soffice marea a coprire intimamente, di questa parola, lo stato d’esilio, a “lisciarne l’incrinatura”, a interrogarne l’inconosciuta identità. “Cosa sarà, io?” Parola, sempre scivolante su qualche orlo del dicibile.
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